Non ricordo esattamente quando ho preparato la mia prima pastiera napoletana, ma ricordo bene che l’amica partenopea di mia madre le fece grandi complimenti, con innegabile soddisfazione ed anche un po’ di vanto da parte della mia genitrice.
Negli anni ho affinato la tecnica e dato sfogo alla fantasia, con la base realizzata di frolla di biscotto o con biscotti farciti con ripieno di pastiera.
La pastiera Napoletana nella storia
Già nel ‘600 Gian Battista Basile ne “la Gatta Cenerentola” nominava la pastiera, probabilmente nella versione rustica della ricetta di Antonio Latini della fine del 600.
Sono tante le vicende legate a questo dolce.
La Sirena Partenope, ricevuti in dono gli ingredienti dalle piu’ belle fanciulle dei villaggi del golfo, e deposti ai piedi degli dei, ne ottenne indietro il dolce dopo che loro stessi mescolarono insieme ricotta, farina, zucchero e uova.
“Magnatell’na risata” fu coniato dopo che Maria Teresa D’asburgo, la regina che non sorride mai , sorrise mangiando una fetta di pastiera.
Si dice infine che le losanghe debbano essere sette, a replicare l’urbanistica di Napoli, fatta di tre cardi e quattro decumani incrociati.
La Pastiera Napoletana cosa rappresenta per me
Questo dolce non è solo il rispetto di una tradizione, ma il ricordo di un amico che riaffiora forte ogni anno di piu’.
Saro era più’ grande di me, colto e divertente, fidanzato quasi perfetto di una delle mie più’ care amiche, energico e intraprendente, amante della pastiera napoletana. Matto quanto basta, partiva per la Sicilia ar in giornata e tornava con i vassoi di cannoli. Decideva che aveva voglia di piazza e si andava a cena a Napoli per una pizza per rompere la monotonia romana. Amava la politica, quella seria e colta, sopra ogni cosa.
E ogni anno mi chiamava a pasqua, per gli auguri e per ricordarmi che gli dovevo una pastiera.
Quindi caro Saro, questa e tutte le prossime sfornate, saranno dedicate a te.
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